Sanremo: “Bella Stronza” di Masini e la capacità di crescere e non restare uguali a se stessi

Inizia Sanremo, il gossip imperversa, ma tra le tante canzoni ripresentate con un duetto quella che ha suscitato maggiore discussione è “Bella Stronza”, di Marco Masini, insieme a Fedez. Questo non tanto perché fino a due settimana fa tutti i giornalisti di cronaca rosa pensavano fosse una stoccata a Chiara Ferragni quando invece sarebbe stata scelta per “l’amante”, quanto per il suo testo, oggi ritenuto violento nei confronti delle donne.

Ho letto diversi editoriali sulla questione, e mi sono ritrovata a cercare il testo e leggerlo con attenzione. Sì, mi sono resa conto che, riletto oggi, contiene dei passaggi assolutamente violenti e misogini, per cui forse immaginarla riscritta (cosa che si presume avverrà), non è sbagliato.

Però, però, non va criminalizzata la canzone, senza pensarla nel suo contesto, nel suo momento storico. Quando è uscita era il 1995, e per la Generazione X ha significato cantare a squarciagola seduti dietro a un “Sì” guidato a zig zag dall’amica del cuore, su cui si montava con la rincorsa e senza casco, quando andava bene era un “Booster”. Oggi in due in motorino non ci si può più andare, senza casco men che meno. Partiamo da questo. A 15 anni, quando la cantavo, non avevo la minima idea del significato di quel testo, e credo così tantissimi di noi, così come i 15enni di oggi probabilmente non si rendono sempre conto dei testi di alcuni trapper… Ma chi l’aveva pubblicata, edita, prodotta, adulto, non lo sapeva? Certo. Eppure era la canzone dell’uomo innamorato e piantato in asso, del geloso a cui forse partiva un ceffone se tradito, abbandonato, scaricato. Eppure era “normale”. Se fosse stata prodotta oggi allora sì, ci sarebbe da discuterne, come si discute dei testi di Tony F., con una consapevolezza diversa, con un’attenzione alla violenza di genere diversa, da chi è adulto oggi.

Trovo l’idea di averla riadattata con le “barre” di Fedez (attenzione, prima bisogna capire che cosa ascolteremo, non è detto sia più edulcorata), sia la scelta di chi, cresciuto, magari abbia maggiore consapevolezza di quello che dice, che canta, che rappresenta.

E’ proprio qui che sta il fulcro, parlando in generale, dato che davvero fin quando non avremo ascoltato la “nuova versione”, non sapremo se sia meno o più “violenta” di quella originale, nel saper cambiare e riadattare se stessi, le proprie convinzioni, i propri comportamenti e modi di comunicare, all’oggi. Non siamo monoliti immutabili, si spera, ma esseri viventi che si nutrono di esperienze e vissuti, che se hanno affrontato qualcosa di complesso ieri in un modo, domani lo affrontano in un altro. Scegliere di cambiare è una decisione che pochi prendono, anche nel mondo dell’arte, perché è rischiosa, fa paura, ma è proprio la scelta di farlo che fa la differenza.

Tutto va sempre attualizzato e contestualizzato nel preciso momento in cui accade, in determinate condizioni, epoche, situazioni emozionali. Non fosse così, la civiltà non si sarebbe evoluta, le relazioni non cambierebbero mai e così le persone. E’ la capacità di scegliere di non restare sempre uguali a se stessi.

Buon Sanremo a tutti.

V.R.

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