Sanità, il volo dell’Albatros e il “miracolo” del San Raffaele di Milano

Questa è una storia di malasanità e ottima sanità, di come questo faccia la differenza, ma soprattutto di resilienza e coraggio. Voglio raccontarla perché quando lotti contro tutto e tutti, quando la luce sembra impossibile da raggiungere e alla fine ti parlano di “miracolo”, è giusto dare atto a chi quel miracolo ha contribuito a realizzarlo, e quando la sanità funziona perché chi ci lavora ci crede davvero, va esaltata. Non che io non creda sia possibile parlare di miracoli, lungi da me tale presunzione, ma preferisco vederli coma una convergenza di forze, energie, sentimenti e persone, che lo rendono possibile. Se oggi posso guardare a una persona cara, dopo quasi un anno, immaginandola di nuovo in salute, parto dal dire grazie e immensamente grazie all’ospedale San Raffaele di Milano.

L’incubo per me e la mia famiglia è iniziato a marzo 2024, quando un mio parente caro, che chiameremo Albatros, si è sentito male, nella sua casa. La sua fortuna è stata riuscire a rispondere al telefono ad un’amica, la quale con un’altra persona si è precipitata a casa sua. Purtroppo, nonostante le sue condizioni fossero serie, invece di chiamare il 118, le due persone hanno deciso di portarlo al più vicino pronto soccorso, in un ospedale non attrezzato per certe tipologie di accertamenti clinici, che avrebbero dovuto essere fatti immediatamente, per evitare conseguenze, ma questo noi non lo sapevamo. La diagnosi iniziale è stata un rincorrersi di ipotesi, dalla meningite alla possibile encefalite batterica, e con la necessità di risalire al patogeno responsabile di una sepsi che è stata deflagrante. Solo tre giorni più tardi, Albatros è finito nel reparto di terapia intensiva, con danni gravi a seguito di una possibile ischemia o comunque di una complicanza neurologica, con una possibilità di sopravvivenza che, allora, era molto bassa e con una previsione di ripresa ancora più bassa, soprattutto relativamente alla qualità della vita. E’ trascorso un mese, tra camici, lacrime, dolore a cui assistere ogni giorno, e una sensazione di impotenza devastante. Poi la prima luce, ad aprile, quando il peggio sembrava passato ed è stato organizzato il trasferimento in una struttura riabilitativa nel comasco. Viaggi, fatiche, distanze, intromissioni, un periodo che vorrei solo dimenticare, ma nonostante questo Albatros ha continuato a lottare. Purtroppo nel giro di poche settimane l’infezione ha ripreso il sopravvento, fino a trasformarsi in polmonite, ed è stato a quel punto che è diventato imprescindibile scegliere con cura dove trasferire il mio familiare.

Ho optato per il San Raffaele di Milano, e non avrei potuto fare scelta migliore.

A giugno l’ingresso in un reparto gestito magistralmente, dove finalmente è stata fatta una diagnosi corretta e coerente con il recente passato. La situazione però era grave. Ogni volta che questi dannati batteri sembravano sconfitti, ricomparivano poco dopo la sospensione della terapia antibiotica, un’altalena infinita tra speranze, brutte notizie, di nuovo uno spiraglio e poi ancora il buio. Albatros però ha continuato a lottare. Ad un certo punto è arrivato un peggioramento ulteriore, una condizione davvero seria per la quale le speranze hanno iniziato a crollare vertiginosamente. Operare o non operare? Tentare il tutto per tutto o non tentarlo? Sono stati giorni di interrogativi, mie, nostri e degli stessi medici, fin quando tra il si e il no è arrivato lo stallo. Ho però trovato orecchie capaci di ascoltare, di capire, di lasciarsi persuadere che provare sarebbe stata la cosa giusta da fare, ed è stata fatta. Albatros voleva vivere. Ad agosto, però, dopo un delicato intervento al cuore su una persona già gravemente debilitata, c’è stato un momento in cui è sembrato tutto vano… La tenacia del reparto di rianimazione del San Raffaele, dei chirurghi, dei medici del reparto, e quella del mio incrollabile familiare, hanno avuto la meglio. Albatros ha pensato di mollare, ma alla fine ha continuato a tenere duro.

Anche la ripresa è stata una scala in drammatica salita, altri mesi, altre speranze infrante, altre fatiche, attese, ipotesi, profilassi, fin quando la luce, piano piano, dagli occhi di Albatros ha iniziato ad intravedersi anche nella risposta alle cure, una mano che si muove, un piccolo passo lontano da un letto diventato fin troppo compagno costante di lunghe giornate.

Oggi Albatros sta affrontando la riabilitazione, ha lasciato l’ospedale, ha la speranza di una ripresa totale.

Questa storia dimostra come la volontà, unita alla disponibilità a mettersi in gioco, la forza d’animo, la competenza e i mezzi, tutti insieme, possano davvero fare la differenza in una vita.

Grazie, con tutto il cuore.

Alla dottoressa Spessot, alla dottoressa Piani e al prof. Maisano,  a Eleonora Mandelli e agli infermieri del reparto Iceberg, la mia più immensa riconoscenza.

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