Il nuovo studio dell’Istituto Mario Negri di Milano sulla cura domiciliare per il Covid-19, appena pubblicato il “Cover2” è in attesa di revisione, dimostra che la cura domiciliare precoce abbatte i ricoveri in ospedale (e taglia i costi). Lo ha pubblicato in anteprima il Corriere della Sera, spiegando nei dettagli di cosa si tratti. Singolare apprendere che quanto affermato dai medici del Comitato Cura Domiciliare Covid-19 da oltre un anno e mezzo, preso di mira dalla stampa e da esperti e ricercatori, di fatto sia ancora una volta confermato.

Andiamo per ordine. Lo studio, effettuato su 108 pazienti trattati con antinfiammatori ed eparina e cortisone al bisogno (ancor prima del tampone positivo in prima fase), confrontati con altrettanti assisiti secondo il protocollo tradizionale, ovvero “vigile attesa” e paracetamolo, dimostra come il protocollo nuovo “riduca l’impatto e accorci la durata dei sintomi, come la perdita di olfatto e gusto e la stanchezza, che al contrario possono persistere anche per diversi mesi”. Le linee guida, definite in un algoritmo e utilizzate da otto medici di base tra Bergamo, Teramo e Varese, hanno portato al ricovero di un solo paziente. Nel gruppo di controllo, analogo per età, sesso e patologie pregresse, a finire in ospedale sono stati in 12.

Gli antinfiammatori, secondo i due studi del Mario Negri, diretti dal professor Giuseppe Remuzzi, somministrati nella primissima fase della malattia di fatto bloccherebbero la sindrome infiammatoria prodotta dal virus, che poi porta alle forme gravi della malattia.

Uno studio importante, questo, per chi lotta per le cure domiciliari da mesi e mesi e che, di fatto, è rimasto inascoltato. La documentazione presentata più e più volte alle istituzioni a partire dai primi mesi del 2020 da parte dei medici del Comitato Cura Domiciliare, di fatto ha quindi un valore inestimabile. Come mai gli studi non sono stati fatti partire? Quando i medici di questa rete somministravano già ai pazienti gli antinfiammatori, ovvero dal febbraio/marzo del 2020, il protocollo ministeriale indicava “vigile attesa e tachipirina”, ed è rimasto tale fino all’aprile del 2021, dopo un ricorso al Tar vinto dal Comitato Cura Domiciliare contro le suddette linee guida, dopo una sentenza del Consiglio di Stato che ha legittimato, nero su bianco, la libertà prescrittiva dei medici. Caso strano il protocollo è stato modificato proprio mentre il Comitato Cura Domiciliare Covid-19 stava dialogando, per tramite di Agenas, dopo un incontro con il sottosegretario Sileri, proprio con chi avrebbe dovuto far partire un tavolo per nuovi protocolli, a documenti già inviati, tra cui lo stesso prof. Remuzzi.

Le poche modifiche al protocollo ministeriale “bis”, in quello del Comitato erano realtà da oltre un anno, bizzarro vero?

Ed è sempre molto bizzarro che, dopo aver chiesto una relazione in 48 ore con il dettaglio di tutto il lavoro del Comitato, firmato dal prof. Luigi Cavanna, dal prof. Serafino Fazio e dal dottor Andrea Mangiagalli, il Dipartimento di Prevenzione che avrebbe dovuto fissare una riunione con il Comitato ai primi di agosto, poi ai primi di settembre, due settimane fa abbia risposto che “la documentazione è ancora al vaglio degli esperti”. Di quali esperti si tratti non ci è dato sapere, ma intanto documenti con conclusioni ed evidenze cliniche possono essere serenamente passate di mano in mano, così come non è mai arrivata risposta circa gli studi randomizzati chiesti, su diversi farmaci somministrati in fase precoce, che avrebbero dovuto essere fatti a partire dal 2020.

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