Morto a 2 anni per le botte del padre, per Tribunale non è omicidio

La Corte D’Appello di Milano ha annullato la condanna in primo grado all’ergastolo Alija Hrustic, 26 enne croato, a processo per la morte del figlio Mehmed, di due anni e cinque mesi, trovato morto in un appartamento in zona San Siro a Milano, nel 2019. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che il piccolo sia morto per le botte, ma non che l’intento del padre fosse quello di uccidere. Ora Hrustic sconterà 28 anni di carcere invece di rimanerci tutta la vita. Nel secondo processo le accuse della moglie, che lo ha da sempre definito violento, sono state archiviate perché non ritenute credibili, così come parte delle testimonianze rese dalla donna in seguito all’accaduto. Lo stesso è valso per l’aggravante della tortura, contestata in questa vicenda per la prima volta in un caso di maltrattamenti in famiglia. L’accusa valuterà il ricorso in Cassazione.

LA MIA OPINIONE

L’autopsia sul corpicino del bimbo ha evidenziato decine di pugni, calci e ancora morsi, bruciature di sigarette e presunte ustioni con l’accendino sotto le piante dei piedi e delle mani. Secondo la difesa però, queste ultime sarebbero state causate da una piastra lasciata accesa a terra, su cui il piccolo sarebbe finito forse per sventura.

Morsi, oltre 50 segni visibili di colpi violenti, bruciature… Questa non si chiama tortura?

E ancora, provocare la morte di un innocente, a maggior ragione se un bambino, dopo averlo pestato a sangue più volte, non è un omicidio “perché non voleva uccidere” chi ha agito in quel modo?

La Giustizia italiana lascia sempre di più a bocca aperta per le sue decisioni, che sputano sui cadaveri delle vittime senza alcun ritegno, come se trovare un cavillo per diminuire le pene sia il pensiero primario di chi le sigla. Un uomo che picchia suo figlio in questo modo dovrebbe rimanere in galera per tutta la vita, anche se il bambino per miracolo fosse sopravvissuto. Al limite, dopo 20-30 anni di galera, un percorso di recupero, una chiara dimostrazione di ravvedimento, allora se ne potrebbe riparlare. In Italia c’è sempre la scappatoia, la buona condotta, la volontà di cambiamento che, però, arriva chissà come mai proprio quando qualcuno non c’è più.

Il reato maggiormente punito nel nostro paese, oggi, è l’omicidio stradale. “Bene”, direte voi, e lo penso anche io, se immagino una persona che scientemente si mette al volante dopo aver tirato su con il naso anche l’intonaco di casa sua… Lo ha scelto no? Quindi quando alla guida investe una persona totalmente sconosciuta o va a sbattere contro una famiglia in auto, e ne provoca la morte, deve pagare. Chi guida un’auto alterato da sostanze però, non decide prima, mentre assume quelle sostanze, che vuole andare a sbattere… Non decide prima che vuole travolgere chi gli attraverserà la strada, anche perché non può saperlo. E allora mi spiegate giudici, come mai un padre che sa benissimo quanto possa fare una scarica di pugni sferrata da un uomo a un bambino di due anni, che sceglie di colpire lui perché è quel bambino che in qualche modo lo disturba o lo fa arrabbiare, non è omicidio?

Serve una riforma della Giustizia. Ieri.

Valentina Rigano

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