Emergenza femminicidi: una questione di cultura e leggi sbagliate

Decine di donne uccise in poche settimane, vittime di una violenza che è emergenza e che è frutto di leggi sbagliate, così come di informazione che male utilizza le parole e studia troppo poco il fenomeno. 
 
E’ di questi giorni la polemica accesa in merito alle dichiarazioni della giornalista Palombelli sui femminicidi, la quale si è interrogata, in diretta televisiva se i killer dell’ultima settimana siano “impazziti” o siano stati preda di raptus inconsulti, o se siano stati in qualche modo “esasperati” dalle loro vittime.
Parlare di “esasperazione” come una colpa, cercare nel femminicidio una giustificazione, è quanto di più sbagliato possa essere fatto da chi fa informazione. Partendo dal presupposto che nel mondo sia pieno di donne fetenti, come di uomini fetenti, credo si sia tutti d’accordo sul fatto che l’omicidio non sia una ragionevole conseguenza che possa essere giustificata. Allo stesso modo non tutti gli omicidi con donne come vittime sono femminicidi. Il femminicidio ha una sua precisa connotazione. Non è la litigata finita male, non è il ceffone dato da un uomo che subisce magari una donna aggressiva e violenta e che reagendo dopo mesi di soprusi la colpisce e lei cadendo picchia la testa e muore. Questi non sono femminicidi. Sono omicidi di altro genere e come tali verranno giudicati. Il femminicidio parte dalla volontà del killer di uccidere la donna in quanto donna, che questo percepisce come una proprietà, che non accetta che la donna possa dire “basta”, “no”, o smettere di assecondare un uomo, padre o compagno che sia, prevaricatore e violento.
 
Il femminicidio nasce dall’incultura patriarcale, misogina, dove la donna viene percepita da codesti uomini come l’eterna “mamma italiana” dell’ante guerra, che diceva sempre “si” al figlio maschio, perdonava tutto al suo prediletto e lo coccolava e venerava come un principe, e che di conseguenza da una donna cresciuta nell’era contemporanea si aspettano lo stesso. Forse se esiste un’unica “colpa” delle donne, va ricercata in coloro che crescono i figli maschi come dei re della casa e del cuore da venerare senza soluzione di continuità, da giustificare sempre e da amare senza alcuna riserva. A mio avviso questo si chiama egoismo, non amore, da parte di una madre.
 
La legge attuale, con tanto di codice rosso, è evidentemente inefficace. Perchè non pensare a tutelare le potenziali vittime, invece che dare garanzia di sostanziale presunta innocenza e possibilità di redenzione per stalker e uomini violenti? Dovrebbe essere l’esatto contrario. Alla denuncia dovrebbe seguire la sospensione della patente, una lettera al datore di lavoro e l’obbligo a soggiornare a spese proprie in una comunità che si occupi di terapie ad hoc, da un minimo di tre mesi, per guadagnarsi una nuova vita. Alla seconda denuncia dovrebbe scattare la custodia cautelare in carcere, fine. La donna ha mentito? Centomila euro di multa, la galera, quello che vi pare…
 
Resta il fatto che ci sono altri aspetti della questione che non dovrebbero avere spazio sui giornali o sulle labbra di giornalisti e conduttrici. Il femminicidio non può essere spiegato con un raptus, perchè nella maggior parte dei casi è l’esito di mesi, quando non anni, di vessazioni, violenze e persecuzioni, oltre che deciso e pianificato. Men che meno è accettabile considerare lontanamente una colpa della vittima.
Va rasa al suolo la concezione della donna che alcuni uomini hanno ancora oggi e che per nostra fortuna non esiste più (quasi ovunque). 
Che questo passaggio sfugga a chi fa informazione è molto grave. Che ancora oggi ci siamo cronisti che parlando di femminicidio si esprimano con “accecato dalla gelosia” , “preda di un raptus”, “lei voleva lasciarlo e lui soffriva”, è molto grave.
Prima di parlare di certi argomenti, bisogna studiare. Sempre.