Michela Giraud e la critica alla “body positivity”, ha ragione?

L’idea della ‘ciaciona simpatica’ o della ‘sexy nonostante’ mi ha innervosito. Alla fine ti fanno capire che sei fuori posto. Bisogna dirsi la verità, non esiste chi sta sempre bene. Io non ce l’ho con la body positivity, però non tutto può diventare un’altra etichetta, per me è un po’ l’ansia di dire ‘comunque mi accetto e sto bene,  ed è un’ipocrisia, un qualcosa tagliato con l’accetta che non rispetta quello che è il naturale corso della vita. La spinta al cambiamento non può essere soggetta a una spinta che arriva da fuori“.

Michela Giraud, comica stratosferica alla vigilia dell’uscita del suo primo film “Flaminia”, arriva dritta al punto e squarcia il velo di zucchero che fino ad oggi ha avvolto il tema della “body positivity“. Lo ha fatto ieri sera, durante la sua intervista a “Stories” su Sky,    con una trasparenza che probabilmente era necessaria.

In un’epoca in cui l’immagine corporea è spesso filtrata dagli ideali estetici veicolati dai media e dalla cultura pop, il concetto di “corpo sano” emerge come una necessaria riflessione sulla reale essenza del benessere. Un corpo sano, infatti, non corrisponde necessariamente a un corpo che rispetta i canoni di bellezza imposti dalla società. La vera salute fisica abbraccia una varietà di forme e dimensioni, distanziandosi dal mito pericoloso che equivarrebbe automaticamente la magrezza o il muscolo scolpito alla salute. Questo però non deve neppure spingerci a dire che l’accettazione di un corpo non sano, che si tratti di eccessiva magrezza o sovrappeso, sia qualcosa di buono. Accettare la condizione certamente, ma affrontarne le cause è la vera sfida per una vita in salute. Troppo spesso non consideriamo che dietro una forma fisica “fuori canoni di bellezza”, ci sia anche una patologia, quasi mai si tratta di scelte. Le patologie vanno affrontate per stare bene.

Questa distinzione critica merita un’attenzione particolare, poiché promuove un approccio più inclusivo e realistico al benessere personale. Un corpo sano si valuta attraverso indicatori ben più significativi ed eterogenei rispetto alla semplice apparenza fisica: l’energia vitale di ogni giorno, la forza e la flessibilità, la capacità di compiere attività quotidiane senza affaticamento eccessivo, e soprattutto, la stabilità dei parametri clinici, come la pressione arteriosa, i livelli di zuccheri e colesterolo nel sangue, che sono veri indicatori di salute.

Inoltre, è essenziale riconoscere che il benessere è un concetto olistico, che include non solo la dimensione fisica, ma anche quella emotiva e sociale. Un “corpo sano”, quindi, è anche quello in cui mente e spirito lavorano in armonia, contribuendo a una sensazione generale di felicità e soddisfazione personale.

 

Dove nasce la “body positivity”

 

Il movimento del “body positivity”, letteralmente “positività del corpo”, è una filosofia inclusiva che celebra ogni corpo umano, indipendentemente da forma, dimensione, colore o capacità, promuovendo l’accettazione e l’amore di sé al di là degli ideali estetici convenzionali. Nato come controcultura rispetto agli standard di bellezza inarrivabili diffusi dai media e dall’industria della moda, il movimento ha radici che affondano negli anni ’60, con la seconda ondata del femminismo, ma ha trovato la sua vera esplosione e diffusione nell’era digitale, grazie ai social media.

 

La filosofia del “body positivity” invita a una riflessione critica sulle norme sociali riguardanti il corpo e l’aspetto fisico, promuovendo un messaggio di inclusione e diversità. Al centro c’è l’idea che ogni individuo dovrebbe sentirsi dignitoso, rispettato e libero di amare il proprio corpo, con l’obiettivo di costruire un’immagine di sé positiva e combattere le discriminazioni legate all’aspetto fisico.

 

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un crescente impatto di questa filosofia nel mondo della moda, un settore storicamente critico per i suoi rigidi canoni estetici. Marchi influenti hanno iniziato a introdurre nelle loro campagne modelli di tutte le taglie, razze e abilità, spostando l’ago della bilancia verso una rappresentazione più inclusiva e variegata della bellezza. Alcune griffe hanno abolito le taglie “plus size” come categoria distinta, integrando tutte le misure in un’unica collezione, mentre altre hanno fatto della diversità il loro cavallo di battaglia, mostrando modelli con cicatrici, vitiligine o condizioni dermatologiche.

Aziende che hanno abbracciato la filosofia del “body positivity” hanno visto crescere la loro popolarità e il loro fatturato, dimostrando che l’inclusività non è solo una scelta etica, ma anche un’opportunità commerciale vincente, il che non è da sottovalutare…

Il caso di Adele: gli haters non hanno forma

Adele, una voce straordinaria da milioni di copie vendute e teatri e stadi pieni in tutto il mondo, è suo malgrado il perfetto esempio dell’etichetta a cui ha fatto riferimento Giraud. Per anni vittima di body shaming a causa del suo peso, nel 2020 ha perso quasi 30 kg, ma nulla è cambiato. Se prima veiniva presa di mira e giudicata “non in forma”, è stata poi attaccatata per essere diventata “troppo magra“. Qualcuno addirittura le ha scritto “ci hai traditi“, come se una taglia corrispondesse di fatto a un clan.

Il messaggio sulla salute e l’assenza di etichette sono la vera rivoluzione

Critiche e dibattiti sorgono riguardo all’appropriazione commerciale del movimento e alla possibile banalizzazione del suo messaggio originario. Alcuni sostengono che, sebbene la moda si stia muovendo verso un’immagine più inclusiva, nella società permane una forte pressione verso l’aderenza a certi standard di bellezza.

In conclusione, il movimento del “body positivity” sta giocando un ruolo nel ridefinire gli ideali di bellezza nella moda e oltre, promuovendo un messaggio di amore e accettazione di sé, seppure durante gli ultimi appuntamenti fashion, le modelle “fuori taglia” (un concetto che ancora circola ed è aberrante), fossero pressoché sparite dalle passerelle. Pertanto benissimo il movimento, benissimo il dichiarare guerra ai canoni, ma concordo in toto con Michela Giraud, obiettivo salute in primis, ognuno di noi deve sentirsi libero di scegliere il cambiamento, di piacersi o non piacersi, senza dover sottostare ad un’etichetta che rischia di imprigionarci ancora di più.

(Foto: frame TV)

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