Sciopero Amsa a Milano: “senza lavoro e senza salario, per aver rispettato la costituzione”

Sostano davanti all’ingresso Amsa di Via Olgettina a Milano.

Sono le tute gialle,  i netturbini che tutti i giorni puliscono la città  di Milano. “E lo abbiamo fatto anche quando la pandemia infuriava e noi non avevamo neppure i dispositivi di sicurezza. Un anno e dieci mesi fa andava bene a tutti che ognuno di noi rischiasse  la sua vita per garantire la pulizia delle strade”.
Accanto a loro ci sono gli autoferrotranvieri di Milano. Sono corrucciati. Rifiutano di rispondere ai giornalisti che si avvicinano per intervistarli. “Non ci fidiamo di voi che avete rappresentato la pandemia facendo sentire sempre e solo una campana”.
Sono rattrappiti dentro i loro giubbotti che ostentano con fierezza. Non è ‘solo’ il loro lavoro. È qualcosa attraverso cui portano in dote la dignità della loro persona, “che non si baratta in cambio di un certificato verde”. Non è solo una questione di sfiducia verso la scienza o il vaccino. C’è anche quello, sicuramente. Ma c’è pure la volontà di manifestare la ferita di una dignità calpestata, quando nell’esercizio di un diritto sancito dalla costituzione, come contrappasso, si vedono negato il diritto al lavoro e al salario.
E a chi accetta per questo di sottoporsi al monitoraggio costante via tampone, non va giù di dover pagare quello strumento di controllo “che per altro in qualunque manifestazione pubblica al chiuso viene comunque chiesta anche a chi si è vaccinato”.
C’è chi non si rassegna, chi non si piega davanti all’andazzo generale per cui calpestare il diritto di un lavoratore è diventato legittimo. “Lei nel suo pezzo dovrebbe avere l’accortezza di segnare – dice un giovanotto con evidente accento siculo – che noi non possiamo lavorare né guadagnare e siamo anche costretti a pagarci il tampone. Il nostro dovere di salvaguardare la salute personale e altrui, può essere barattata con la liceità a far morire di fame delle famiglie che non hanno fatto nulla a nessuno? Lei ce l’ha il coraggio di scriverlo, questo?”
Si guardano, si contano, si arrabbiano. Sono persone semplici. Fanno capannello per sentirsi vicini, e attraverso la vicinanza sentirsi uniti. Dall’altra parte della strada indugiano i giornalisti. Puntano microfoni e telecamere verso questo sparuto gruppo di uomini e donne bollati come reietti. Hanno voglia di parlare, lo si capisce da linguaggio dei loro corpi. Avrebbero voglia di buttarsi verso i microfoni puntati su di loro. Si trattengono a stento. Ad un certo punto compare un ragazzo. Ha un tatuaggio sul viso e la matita passata sul contorno occhi. Indossa con garbo l’inquietudine e la tracontanza della sua età, quella vivace irrequietezza di chi non tollera di restare in silenzio.
“Il mio medico mi ha diagnosticato una serie di intolleranze e allergie. Una di queste è ai tamponi nasali. E mi ha sconsigliato di fare il vaccino.
“Me lo metti per iscritto? – gli ho chiesto. Si è rifiutato. Dicono che noi saremmo egoisti e che non pensiamo agli altri. Perché, a me cosa è stato fatto? Non è la stessa identica cosa?”
Servizio di Max Rigano