Squid Game: 1,2,3 stella con la pistola e la fine del ruolo dei genitori

Un telefilm dove per vincere denaro si partecipa ai giochi normalmente fatti dai bambini, pena la morte. È questo sostanzialmente il terrificante canovaccio di “Squid Game”, una serie tv coreana che sta inspiegabilmente spopolando su Netflix e che viene guardata da migliaia di persone anche in Italia, tra cui bambini molto piccoli.

È normale? No, assolutamente no. Bisogna chiedersi che fine fanno i genitori, in questi casi. A domandarselo restano adulti consapevoli e insegnanti, come questa, ripresa sui social anche da Alberto Pellai.

“Sono un’insegnante di scuola primaria con 2 classi quinte, ho trascorso 2 giorni a colloquiare con i miei alunni per capire come lo avessero conosciuto, come e con chi lo avessero visto e il tipo di emozione o motivazione che suscitava in loro”. Sostanzialmente la “serie”, vede partecipare gruppi di persone in condizioni economiche disastrose, scegliere di partecipare a sei giochi per poi venire uccisi da bambole assassine che eliminano gli sconfitti.

“Durante la ricreazione li vedo spesso giocare a 1 ,2, 3, stella (presentato nella serie), simulando la squalifica dei compagni con il gesto della pistola”, prosegue la maestra, “e io che fino a poco tempo mi ero quasi commossa nel vederli giocare in gruppo a dei giochi dei vecchi tempi. Solo ora traggo l’amara realtà”.

 

 

Quando siamo arrivati a questo? Quando ai nostri figli viene permesso di affacciarsi a determinate e grottesche produzioni senza alcuna mediazione? Quale insegnamento crediamo possano trarre da uno spettacolo del genere, che pur di emergere e fare soldi si deve essere disposti a morire?

Francamente ho scoperto Squid perché ne ho sentito parlare da alcuni figli di conoscenti, e poi ne ho letto in qualche articolo, dato che mia figlia, 5 anni e mezzo, quando accende la televisione è sottoposta prima al parental control delle piattaforme tv e poi dal mio. Ha accesso alla sola sezione “bambini”, e il fatto che una serie del genere, sconsigliata ai minori di 14 anni (io francamente la sconsiglierei a chiunque dato il peso specifico inesistente della trama), sembra però non interessare molti genitori. Il divieto, anche se porta a lunghe ed estenuanti discussioni con i più grandi o a capricci e pianti incontrollati con i più piccini, dovrebbe essere parte del lavoro dei genitori, perché di lavoro si tratta, che troppi stiamo dimenticando. Un divieto per proteggerli dalle brutture inventate da menti evidentemente incapaci di produrre qualcosa di “bello”, nel senso più ampio del termine, ma che ormai si tarano sulle ombre più oscure e morbose della società per creare serie televisive che nulla possono fare se non lasciarci con un malessere diffuso appena spenta la tv.

Poi ci si lamenta e stupisce se i nostri ragazzi finiscono preda di giochi pericolosi sui social, del perché della realtà del mondo, delle aspettative, delle cose importanti, hanno un’idea distorta… Noi genitori dove siamo? Il genitore è quello che spegne la televisione quando serve, non quello che passa il telecomando mentre scorre il cellulare perché così per i figli siamo “gran fighi dalla mentalità aperta”.

Lasciamo ai nostri bambini ingenuità, calore umano, e il ricordo di 1,2,3 stella con la risata di chi inciampa perché non riesce a fermarsi in tempo, non con il trauma di chi ti spara addosso se cadi.

Valentina Rigano

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