Preferivo sinceramente lo sguardo truce dell’ Ufficiale Gentiluomo o persino quello malizioso di American Gigolò a questa triste “comparsata” di Richard Gere che ricorda più la malinconica ironia dell’italico “Amici miei”, con tanto di “schiaffoni” agli italiani che credono che la Res Publica ed i suoi ministri siano ancora un valore in cui credere.
Questa fastidiosa ipocrisia che definirei menefreghismo del “dopo sbarco”, per rimanere in ambito cinematografico, è degna della film “La Frode” di cui sempre il nostro Gere è stato protagonista.
Mi domando perché un attore del suo calibro si sia voluto “immischiare” nelle vicende italiche, dove già molteplici attori e simil tali si dimenano dalle spiagge di forte dei marmi o dalle loro barche a vela per manifestare con forza il pensiero dell’accoglienza per tutti ed a tutti i costi, distogliendo l’attenzione da chi di quella accoglienza poi patisce l’esito, e parliamo dei migranti stessi.
Considero ridicola la presenza del “gentleman” di Pretty Woman in un (vero) processo penale svolto in un’aula di giustizia italiana, nei confronti di un ex ministro degli interni del nostro Stato. Provate ad immaginare, al contrario, Roberto Benigni o Alberto Sordi in un’aula federale di un Tribunale americano chiamati a testimoniare contro Colin Powell oppure contro Rudy Giuliani, i primi rappresentanti del Governo americano che mi sono venuti in mente, per la loro politica di contrasto all’immigrazione irregolare dal Sudamerica.
La sola l’immagine fa rabbrividire e sorridere allo stesso tempo.
Oppure pensate ad una puntata di Law & Order, dove il procuratore interroga Giallini, noto attore romano che ricorda anche, per lo sguardo cupo, il buon Gere. “Me cojoni” verrebbe da dire, parafrasando il commissario romano impegnato suo malgrado in Val d’Aosta.
Cerchiamo di essere seri, suvvia. La politica migratoria di un Paese, di un continente nel nostro caso, atteso che l’Italia rimane comunque la porta dell’Europa, non è roba da film. Non si può pensare di ridurla ad un evento mondano da “Golden Globe” per attirare quattro giornali di gossip e magari l’attenzione internazionale.
L’analisi politica e progettuale dell’immigrazione deve essere seria, rigorosa ed oculata e chi pensa che il problema siano gli sbarchi nei diversi porti italiani divenuti ormai terra di conquista, fa un grande errore di “visione” globale.
Il vero problema è quello che succede dopo, nei giorni e nei mesi successivi. Le condanne del Sindaco di Riace ne sono la dimostrazione.
Perché alle belle foto dei volontari delle Ong che accolgono e accudiscono queste persone certamente bisognose, non seguono mai foto o immagini della loro integrazione nelle nostre città e nella nostra società? Perché finite le pose dalla banchina di Lampedusa non c’è mai nessuno che va ad immortalare le periferie di Quarto Oggiaro, dello Zen, delle campagne foggiane, dei campi casertani, o i ponti di Roma? Nessuno che vada ad “assaporare” cosa vuol dire vivere in dieci persone in monolocali di 40 metri quadri, in 6 in roulotte per 2 persone, tutti ammassati per ripararsi dal freddo nelle case abbandonate, sulle grate dei supermercati da dove esce aria calda, sotto i portici dei centri storici…
Nessuno realizza mai “due scatti” alle celle delle nostre carceri sovraffollate senza esclusione di colpi, dove finiscono anche tanti immigrati senza alternativa, o che in Italia sono arrivati perchè nel loro paese sempre in galera sarebbero finiti.
Finita la “passerella”, questi martiri del mondo si trovano soli ed abbandonati alla realtà della povertà vera, quella che ti deturpa l’anima e che solo nei paesi più ricchi, dove il divario tra classi sociali è sempre più crescente, si può davvero subire.
Solamente quando saremo in grado di progettare e realizzare un piano di integrazione reale e concreto per questa povera gente che arriva nel nostro paese, allora si potrà pensare ad una accoglienza vera e ad una politica migratoria seria.
Fino a quel momento rimarremo davanti all’ennesimo fenomeno di una politica bieca che preferisce il fotogenico e scenografico lavaggio della coscienza attraverso il “si accogliamoli tutti”, piuttosto che una effettiva politica di integrazione ed accoglienza, dove la dignità umana venga messa davanti ai soldi delle organizzazioni, dove il rispetto per il prossimo venga prima di due foto da jet set e dove l’umanità abbia un apprezzamento temporale esteso e non limitato alle poche ore degli sbarchi illegali. Una politica di integrazione che sia produttiva per la convivenza di chi arriva e di chi accoglie.
Diversamente, continueremo ad assistere a pietosi ed artificiali set cinematografici allestiti sulle nostre coste, estesi ormai alle nostre già bistrattate aule giudiziarie, ed a vergognosi “dietro alle quinte” nelle nostre periferie e nelle nostre campagne, dove immigrati illusi da una accoglienza di facciata dovranno sbattere il viso contro la dura realtà dei campi di pomodoro e degli accendini venduti fuori dai supermercati.
A meno che, ovviamente, Richard Gere non vesta i panni del protagonista del “primo Cavaliere” e venga in Italia ad insegnarci come aiutare, davvero, queste vittime inconsapevoli.
Chissà perché non credo sarà così. Titoli di coda.