La triste realtà della gioventù “poco ricca” (VIDEO)

“Che ne sai di me? Della mia Playstation 2 quando già da un po’ c’era la 3? Che ne sai di me? Delle gioie mie represse dei miei IPhone 5 senza la S, quando cammini per strada, vedi l’insegna di Prada, ma senti una voce amara che ti dice ‘Zara’…”

La società della rabbia per ciò che non si possiede e l’incapacità di guardare onestamente a quanto si ha, è magistralmente rappresentata dalla canzone “Poco Ricco” di Checco Zalone, che fa il verso ai piagnistei rappati di ragazzini perennemente scontenti, quando va bene, tra cui alcuni la scarpa di Prada o l’Iphone con la S che credono di non possedere perché “la società è cattiva”, se li prendono a suon di mazzate in branco per la strada.

Davvero nessuno si è accorto del punto a cui siamo arrivati? Davvero nessuno riesce ad accettare e parlare con onestà della gioventù viziata e infelice che abbiamo prodotto?

Evidentemente si.

Ci sono stati diversi “opinionisti” che si sono sperticati alla ricerca di giustificazioni per le baby gang che aggrediscono coetanei o pendolari, in special modo a Milano, spinti da questa malsana moda della “rapper gang”. Sono riusciti a dire che il “crescere nella periferia cittadina, difficile” possa aver influenzato il loro agire, che bisogna “fare qualcosa”. Assolutamente. Sostenere le famiglie, avviare progetti per i giovani, qualunque cosa, ma soprattutto smettere di giustificarli. Mio padre è cresciuto in un micro-appartamento, ci vivevano in cinque, dopo essere arrivati a Milano dalla Sicilia. Nonno ferroviere, nonna casalinga, un paio di scarpe all’anno per i figli nel dopoguerra, pagato a rate. Né mio padre né suo fratello sono diventati delinquenti, anzi. Hanno studiato sodo, andando avanti con borse di studio, lavorando per pagarsi l’università, dopo aver perso il padre che non avevano neppure 20 anni. Non avrebbero avuto il diritto di essere arrabbiati anche loro? Certamente lo saranno stati, ma l’educazione che hanno ricevuto li ha indirizzati sulla strada giusta, ed è solo questo che fa la differenza. Solo questo. Ho una stima enorme per mio padre e suo fratello, giovani volenterosi, determinati, che hanno scelto la loro strada e se la sono dannatamente sudata.

La famiglia di mia madre, di origini svariate, è arrivata in Italia dall’Africa quando lei aveva 20 anni, dopo aver cambiato tre Stati da quando ne aveva 4, con mio nonno che ha dovuto ricominciare da capo con quattro figli. Nessuno si è mai neppure lontanamente sognato di essere arrabbiato “con la società” per ciò che non aveva. Si sono tutti rimboccati le maniche, hanno studiato e lavorato sodo. E a scuola era “l’africana” con le risatine, con tanto di capelli biondi e occhi blu (per capirci)…

Non c’è mai stata invidia nella loro rappresentazione della giovinezza, ma un profondo ringraziamento verso quei genitori che hanno creduto in loro, fatto sacrifici e li hanno sempre detto di fare del loro meglio. Nessun “barone” a spingerli, nessun “papino” che ha lasciato loro la storica azienda di famiglia da portare avanti, e nel frattempo per loro via alla ribellione nel centro sociale più vicino (tanto a casa c’è la Filippina che mi prepara il bagno caldo), o a insegnargli cosa fosse un percorso di studi universitario. Ce ne sono stati tanti di giovani così e ci sono ancora oggi, pertanto piantiamola di scusare i piagnistei capricciosi di chi invidia il prossimo per un paio di scarpe firmate, o per il cellulare nuovo. Perché, mi spiace, non esistono baby gang che rapinano cibo al supermercato perché hanno fame

Ci vuole il rispetto, per il sacrificio e per ciò che abbiamo, invece della costante rabbia verso chi ha di più e allora “va punito”, che si tratti di beni materiali o si tratti di libertà.

Avete ascoltato il discorso della Lamorgese sugli stupri di Milano? Certo che di ragazzini che aggrediscono e stuprano ce ne sono di ogni etnia, e di Italiani che si comportano così siamo drammaticamente pieni, ma non voler vedere quanto accaduto in piazza Duomo è da ipocriti e miopi. Basta scorrere le decine di commenti da parte di giovani nordafricane che hanno spiegato bene di cosa si sia trattato, e che è un fenomeno in crescita da tempo.

“Il taharrush jamaʿi, تحرش جماعي (molestie collettive) ha l’obiettivo di negare alle donne l’accesso agli spazi e raduni pubblici. Nei confronti della donna occidentale, che il giorno di Capodanno si veste a festa con abiti in velluto e paillettes, sfoggiando orgogliosamente la sua femminilità, è un modo per dirle che è ritenuta un mero “oggetto sessuale” su cui sfogare le proprie pulsioni animalesche. Il Duomo di Milano, il giorno di Capodanno, è diventato Il Cairo o i bassifondi di Casablanca, dove non puoi vestirti in abiti che rivelano le forme femminili e devi girare con un uomo preferibilmente robusto”. Sono le parole di una giovane marocchina, che sul web ha spiegato bene cosa sia quello a cui abbiamo tristemente assistito a Capodanno.

Questo non significa che i nordafricani siano stupratori, non significa “rimandarli a casa loro”, significa dover prendere atto che ci sia una problematica culturale misogina e pericolosa che, in alcuni di loro, è ben radicata e il problema va assolutamente affrontato.

E se non bastasse, l’antropologa islamica Maryan Ismail, presidente dell’associazione Unione Islamica Italiana, ha scritto chiaramente in un post la sua analisi: “così come ci siamo giustamente allarmate e indignate per la pacca sul sedere in diretta alla giornalista Greta Beccaglia, altrettanta e ancor più forte preoccupazione desta quello che è accaduto in piazza Duomo nella notte di Capodanno. Guardando i video che girano nel web si evince che si trattavano di vere Taharrush Jama’i (assalti e aggressioni sessuali). Le vittime sarebbero almeno 9 e i presunti aggressori indagati sono giovani e giovanissimi ragazzi stranieri e italiani, con i genitori di origine nordafricana. Non è un caso che i video girano nei social di lingua araba. Qualora fossero responsabili non dovranno avere attenuanti culturali, ma essere giudicati per violenza sessuale di gruppo. Per comprendere che si è trattato di Taharrush Jama’i bisogna sapere come si svolgono le aggressioni. Le vittime, come in altri casi precedenti, sono state isolate e assalite con azioni precise, che prevedono la formazione di 3 cerchi stretti di uomini e/o ragazzi. Il primo è quello che violenta fisicamente la ragazza. Il secondo cerchio filma, fotografa e si gode lo spettacolo, infine il terzo cerchio distrae la folla vicina con urla e rumori per non far comprendere cosa accade. Il compito più odioso è svolto da uno o due maschi del primo cerchio che si fingono “protettori e salvatori” e che rassicurano la vittima convincendola che sono lì per aiutarla (nel video con le ragazze tedesche si notano due giovani che “cercano” di spingerle fuori dalle transenne), ma che poi essi stessi partecipano attivamente alla violenza di gruppo. La tecnica di protezione ha lo scopo di disorientare la ragazza e di spezzarne la resistenza perché non sa più di chi fidarsi. Patisce così anche un ulteriore e drammatico supplizio di tipo psicologico”

 

“Il fenomeno è esploso in Egitto nel 2011 durante la caduta di Mubarak ed è stato ben documentato dalla giornalista della Cbs Lara Logan, vittima di un assalto in piazza Tahrir, mentre svolgeva un servizio televisivo.Da allora anche se con molta difficoltà sono state raccolte altre testimonianze di vittime e si sono messe in atto una serie di precauzioni e di tutele, per le donne che possono essere esposte a violenza di gruppo, in circostanze di eventi pubblici, raduni, concerti o feste religiose. Nessuna è al sicuro. Vengono assalite donne con o senza il velo, di qualsiasi religione o provenienza e di tutte le età (dai 7 ai 70).Il senso di questa specifica violenza di genere è il dominio e il controllo sulle donne. Sono aspetti che non si nascondono o si giustificano. Ora questo terribile fenomeno sbarca in Europa e non solo (si sono registrati casi in India, Pakistan, Indonesia ecc). Lo abbiamo visto accadere a Colonia e all’inizio dell’anno ha sfregiato anche la nostra Milano e le sue cittadine. Affrontare questa nuova forma di violenza senza sminuirne l’importanza e la specificità per paura di passare per islamofobici o razzisti è urgente e necessario per la sicurezza di noi tutte. Sarà utile mettere da parte le ideologie del caso e lavorare tutti insieme. Forze dell’ordine, istituzioni e famiglie. Non vi è bisogno di assumere vigili, esercito o poliziotti in più, ma di mettere in atto un urgente e serio programma d’intervento nelle periferie, scuole, parrocchie, consultori, ambulatori, stadi e centri di aggregazione. In altri termini ripensare al controllo del territorio con una visione di prevenzione e tutela ex ante/ex post.”

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