Discriminazione e violenza di genere, l’importanza del “giorno dopo”

Essere donna oggi significa essere coraggiosa, ma lo è anche essere uomini. La seconda categoria, nel pieno della sua meravigliosa accezione, è purtroppo ancora meno diffusa. Ci sono ancora tanti, troppi non uomini, che sono convinti di poter disporre di una donna come di un oggetto, di una proprietà. Oggi è “il giorno dopo”, come il giorno dopo i primi titoli di giornali che attirano la curiosità di tutti, il giorno dopo le commemorazioni, il giorno dopo l’indignazione generale. È nei “giorni dopo” che dobbiamo continuare a ricordare, riflettere, osservare chi abbiamo intorno e non abbassare la guardia mai. Scarpe rosse indosso, figurativamente, ogni giorno.

Centoquattro vittime in Italia, ad oggi, uccise perché donne. È importante chiarire, ancora oggi, cosa significhi femminicidio, perché c’è ancora chi non comprende che non si tratta di un “privilegio per le donne”, questa definizione, ma di una piaga culturale e umana, prima ancora che criminale. Non tutte coloro che vengono uccise sono vittime di femminicidio, lo diventano quando chi spegne le loro vite agisce per possesso, perché crede che un no, un basta, un “è finita”, sia inconcepibile perché quella donna gli appartiene. È il prodotto di un retaggio culturale ancora troppo radicato nella nostra società, e che vede la donna sottomessa all’uomo, in tutte le sfumature possibili. È stato così per secoli e in alcune culture è “orgogliosamente” ancora la realtà, viene ostentato. Il maschicidio non esiste, e speriamo non esista mai, perché allora avremo fallito due volte.

Carol Maltesi, uccisa a 26 anni. Uno dei casi più drammatici del 2022.

Ieri abbiamo celebrato la giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne. Il 25 novembre di scarpe e panchine rosse, di bei messaggi, di giuste e corrette giornate di riflessione, di ricordo, di memoria. Ma oggi? Oggi è il giorno dopo, come i giorni dopo che lasciano famiglie prima sotto i riflettori nel silenzio assordante delle loro tragedie, tra processi trascinati, perizie psichiatriche su assassini che tentano la strada della follia per giustificare il loro gesto, perché nonostante tanti bei discorsi, in troppi non riescono ancora ad accettare che l’uomo sia un animale, con degli istinti, anche con della cattiveria, e che non è la follia a muovere questi gesti, ma una consapevolezza distorta di ciò che è giusto e ciò che non lo è. Il delitto d’onore è stato abolito nel 1981, io avevo tre anni. Quella mentalità sopravvive ancora oggi, e aleggia nei racconti che si fanno sui giornali, nella ricerca di fotografie di vittime per capire quanto fossero “allegre e disinibite”, in quelle esitazioni taciute quando si viene a sapere che si erano innamorate di altri e volevano chiudere quel rapporto, di compassione ma anche giudizio se hanno sopportato per anni maltrattamenti “invece di andarsene subito”, o perché hanno accettato un invito a casa e un drink da chi poi le ha stuprate.

Quanto si riflette davvero sulle misure preventive inefficaci, su quegli “ammonimenti del Questore”, una denominazione certamente scelta da un uomo, che somigliano più a una ramanzina a un bambino discolo, che a un vero strumento che allontani il carnefice da potenziali vittime? Perché il braccialetto elettronico non viene utilizzato, implementato, e perché non si lavora su percorsi formativi dedicati agli uomini, oltre che alle donne? Perché non si rende reato la disparità salariale tra uomo e donna?

Ci sono tanti e troppi perché, ed è su quelli che ogni giorno dobbiamo alzare la guardia e continuare a riflettere.

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