Donne e lavoro, discriminazione? Due paroline a Bruno Vespa…

Supponenza, egocentrismo e irriconoscenza, questi sono i grossi problemi degli uomini con le donne, unitamente ad un profondo senso di invidia. Voglio sgombrare immediatamente il campo da ogni polemica, affermando che io adoro gli uomini e credo che insieme si possano formare squadre formidabili. L’Uomo con la U però, è una specie rara, per il semplice fatto che non è stato abituato a non temere le donne, a non volerle dominare, al non credere che si meritino meno luce e meno riconoscimenti di loro. Questo per lo meno nelle posizioni verticistiche che oggi sono ricoperte nel paese, con grande speranza per le future generazioni.

Della grande ansia da prestazione di taluni signori è testimonianza questa foto, dove a parlare di discriminazione femminile in una trasmissione condotta da un uomo, sono stati invitati quattro uomini. Sembra una barzelletta, ma non lo è. Sarebbe davvero interessante intervistare le loro collaboratrici, assistenti, colleghe e cape, se ne esistono (data la nostra difficoltà ad ottenere, ancora oggi, certe posizioni). Da Bruno Vespa infatti, il 9 novembre, hanno dato fiato alle trombe, per parlare di discriminazione femminile, il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando, il direttore di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti, e il Direttore del quotidiano La Repubblica, Maurizio Molinari. Hanno risposto loro, senza pensare di invitare una donna a raccontare uno straccio di esperienza.

Ho pensato di aiutarli.

A 19 anni, studi alla mano di tre di Teatro Stabile, un noto agente romano, dopo avermi attirato nel suo studio nella capitale per farmi firmare un contratto, mi è saltato addosso, dicendo che fosse “colpa mia perché ero troppo carina” lasciando in me il dubbio se intendesse fisicamente o come modi, quindi facendomi sentire in colpa per anni. Ho risposto con un pugno in faccia, sono scappata. Fine della mia carriera di attrice e regista tanto sognata.

A 20 anni ho ottenuto un colloquio con il caporedattore milanese di un noto giornale (e chissà se firmò anche pezzi sulle molestie alle donne), credo sperasse che capissi da sola a quale punto della scrivania dedicarmi per ottenere il lavoro. Non lo ho avuto quel lavoro e ho iniziato dalla cronaca locale (grazie, debbo dire, ad un grande uomo in questo caso).

Nella mia carriera professionale, mentre consumavo suole “sui marciapiedi” alla ricerca di notizie, con uno stipendio basso e sempre più basso dei miei colleghi maschi (cosa che non sono certa, ma credo accada ancora oggi), ho lavorato come cameriera in un ristorante, venduto polizze assicurazioni, spazi pubblicitari e persino contratti per la sicurezza in azienda. Sono certa di essere stata fortunata, in molti casi, per aver trovato buoni colleghi e buoni capi, ma sono sempre stata, perché lo so, la “biondina brillante” che per la passione si poteva pagare ‘il giusto’, scelto da loro. Per anni ho creduto che fosse giusto così, che funzionasse così, sia lo stipendio che l’essere sottovalutata che certi tipi di richieste, a cui io però non ho mai avuto neppure l’idea di sottostare.

E allora nel tempo ho lavorato chinando la testa, accettando paghe ridicole da capi misogini e con lo spessore professionale di una sottiletta pressata nel frigorifero, pensando di non avere scelta, perché ho sposato un mestiere difficile e perché sono donna.

Ho avuto anche paghe discrete, senza però che fossero comunque adeguate, da chi mal digerisce di fondo una donna con capacità e cervello. Non riuscivo neppure a dirlo a me stessa, tempo fa, figuriamoci a scriverlo in un articolo, che lo sono. Ci sono voluti 20 anni per non vergognarmi di ammettere essere una donna intelligente, determinata e capace di portare a casa risultati. Eppure difficilmente ho mancato quelli richiesti, con tutti gli errori del caso. Chi fa sbaglia, si dice no?

Certamente ho sempre lavorato sodo tanto da meritarmi quello che ho costruito, e molto altro che non mi è mai stato riconosciuto. Tralascio i due tentativi di produrre due progetti, dove grazie ad un avvocato, donna, quattro imprenditori non mi hanno fregata alla grande e in un’altra circostanza sempre due signori hanno deciso che non fossi degna di essere ascoltata, quando quelle stesse idee anni dopo hanno preso vita da altri (non ci avrebbero guadagnato anche loro?). Questa è colpa della società nella quale sono cresciuta, che vuole ancora immaginare la donna nel focolaio di casa e l’uomo rude “di potere”, quando spesso quell’uomo e quella donna desiderano esattamente l’inverso.

Senza contare quando si parla di partnership o squadra, dove certi uomini non solo non sono in grado di riconoscere l’apporto di una donna, ma sono drammaticamente portati a sminuirlo, senza accorgersi che i risultati sono arrivati anche grazie al suo apporto e che diversamente non ci sarebbero stati. Di solito è per preferire compagnie maschili con le quali un uomo si confronta più agevolmente. Mettersi in discussione con una donna non è da tutti.

Oggi però ho finalmente compreso che al là di battaglie di principio, leggi di pari opportunità, parole, si deve passare ai fatti. Io lo ho fatto (scusate il gioco di parole). Ad un giornale che mi ha pagato da fame per anni, con promesse ridicole di aumenti che non sono mai arrivati e che senza di me (ed altri) oggi non sarebbe ciò che è, e che non ha voluto riconoscermi niente quando ha deciso che fossi ormai troppo brava per continuare a lavorare (lo giuro, me lo hanno detto davvero), ho fatto causa. Caso strano è successo proprio quando è arrivata mia figlia… Avete presente quella storia della maternità? Lei è venuta con me ovunque. In Tribunale, alle conferenze stampa, è stata la mia compagna di avventure per mesi, alla faccia di chi vorrebbe le madri chiuse a chiave a casa.

In un’altra redazione, decisamente più grossa, dove capi uomini mi hanno sempre fatta sentire meno di ciò che sono, dove ho avuto per le mani decine di belle storie, inchieste, pezzi, che non sono stati pubblicati perché non ci sono state persone capaci di capire, con la voglia di leggere, di ascoltare o peggio, la maggior parte delle volte dire no e poi farlo pubblicare al vecchio volpone che firmava quegli argomenti 100 anni prima, ho chiesto l’aumento dopo aver capito di lavorare tanto quanto chi prende tre o quattro volte me. Lo ho fatto per iscritto, inviando una lettera via email. Non hanno neppure avuto la decenza di rispondere. Non mi hanno più chiamata. Anche in questo caso, ho passato palla all’avvocato.

Una terza ed ultima esperienza nel campo dell’editoria, vede uomini così miopi dal non vedere neppure se davanti ci sia un uomo o una donna, tanto sono impegnati a guardare se stessi nello specchio. Peggio per loro.

Devo comunque ringraziarli tutti, perché senza questa fatica non avrei aperto Coraggiosamente, con il quale mi batterò con ogni singolo muscolo del corpo, perché mia figlia non debba passare la stessa pena, per trovare il suo posto nel mondo. Signore, iniziamo a pretendere, non solo a parlare.

Valentina Rigano, dedicato a Bruno Vespa.

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