Studi mai effettuati, ricerche ferme, annunci di approfondimenti su possibili effetti collaterali dei vaccini di cui non si sa più nulla. Sono molti i punti bui rispetto alla gestione dell’emergenza, sui quali le istituzioni dovrebbero fare luce, per rassicurare la popolazione e scacciare ogni dubbio su quanto sia stato fatto (o non fatto) per combattere il Covid in sicurezza.

Partiamo dai vaccini, oggetto di tira e molla tra fasce di età cambiate in corsa più e più volte, open day e possibili effetti collaterali che avrebbero dovuto e potuto essere monitorati in maniera diversa. Relativamente al rischio trombotico, che ha portato probabilmente moltissime persone a prendere le distanze dalla campagna vaccinale per dubbi e paure (per quanto nessuno di noi sia uno scienziato è ancora legittimo avere dubbi e paure?), a seguito di alcune morti “sospette”, tra cui quella di una diciottenne. Nel marzo scorso, a tal proposito, la nota immunologa di Padova Alessandra Viola, tramite Twitter, propose di misurare la coagulazione del sangue nei vaccinati per rassicurarli. “Guardando i numeri, sono quasi certa (e dico quasi solo perché il dubbio è il mio mestiere) del fatto che non ci sia un rischio generale di tromboembolismo legato al vaccino AstraZeneca”, scrisse, “ma non credo che alla gente basti che io, i miei colleghi o i politici ripetiamo che il vaccino è sicuro. Perché allora non fare un prelievo alle persone che abbiamo vaccinato nei giorni scorsi e analizzare lo stato coagulativo?”. Poi concluse: “con dati alla mano, potremmo dire che non ci sono alterazioni indotte dal vaccino e credo che questo messaggio sarebbe molto più forte di qualunque slogan”. Un’ottima riflessione la sua.

Poco più tardi, il 17 marzo, il governatore del Veneto Luca Zaia annunciò tramite Ansa la volontà e la disponibilità a far partire uno studio per valutare la coagulazione del sangue prima e dopo la vaccinazione. La ricerca avrebbe dovuto partire per tramite dell’Università di Padova con tanto di ricerca di volontari. Dove è finita? Non se ne sa più nulla, né se sia mai effettivamente partita o se sia arrivata a conclusione.

A Bologna invece era stato annunciato, con tanto di approvazione di Aifa, uno studio sull’efficacia dell’Idrossiclorochina, il noto farmaco bistrattato e demonizzato, ma per il quale non risultano al momento essere mai stati effettuati studi randomizzati in fase precoce, ovvero non su pazienti ospedalizzati o su persone con sintomi da oltre dieci giorni. Il quattro maggio del 2020, documenti alla mano, l’Università di Bologna dichiarò di aver avviato lo studio PROTECT per valutare l’efficacia dell’idrossiclorochina (HCQ) assunta in fase precoce di malattia a domicilio. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Istituto Spallanzani di Roma hanno approvato lo studio coordinato dai professori Pierluigi Viale (Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche) e Giovanni Martinelli (Direttore Scientifico dell’Istituto tumori della Romagna IRST IRCCS). Il progetto puntava a studiare 2000 soggetti con Covid-19 che dovevano essere assegnati a 2 gruppi curati a domicilio per vedere se il farmaco, assunto precocemente al contagio, potesse contribuire ad alleviare i sintomi dell’infezione.

Anche di questo studio se ne è persa traccia, non si conoscono i risultati, non si sa se sia stato eventualmente interrotto e perchè. Su questo ultimo studio il Comitato Cura Domiciliare Covid-19 ha inviato una richiesta di chiarimento.

Sono tanti gli studi che si sarebbero potuti e dovuti fare, a partire per lo meno dalla primavera del 2020, ma non sono stati fatti. Come mai?

L’ANNUNCIO DELLO STUDIO DI PADOVA

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