Le Cure Domiciliari sono un bene prezioso, lo ha dimostrato la pandemia da Covid-19, così come le migliaia di richieste di supporto che sono arrivate ai diversi gruppi creati da medici volontari, tra cui il Comitato Cura Domiciliare Covid-19. La necessità di colmare la lacuna emersa in questo ultimo anno e mezzo da parte della sanità territoriale è talmente evidente da aver spinto il Governo a dedicare alla cura domiciliare e alla telemedicina un capitolo intero del Pnr. Questo significa, presumibilmente, che il lavoro svolto da centinaia di medici per supportare anche a distanza le persone non sia stato affatto sbagliato come molti vorrebbero far credere, bensì un’intuizione creata da qualcuno che ha cercato risposte, tanto che una parte del piano è dedicata proprio alla telemedicina.
“La pandemia da Covid-19 ha confermato il valore universale della salute, la sua natura di bene pubblico fondamentale e la rilevanza macro-economica dei servizi sanitari pubblici”, si legge a pagina 224 del Pnr, “nel complesso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) presenta esiti sanitari adeguati, tuttavia la pandemia ha reso ancora più evidenti alcuni aspetti critici di natura strutturale, che in prospettiva potrebbero essere aggravati dall’accresciuta domanda di cure derivante dalle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto”. Dopo aver analizzato le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, l’inadeguata integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali e una scarsa capacità di conseguire sinergie nella definizione delle strategie di risposta ai rischi ambientali, climatici e sanitari, il Pnr dichiara come la pandemia abbia inoltre evidenziato “l’importanza di poter contare su un adeguato sfruttamento delle tecnologie più avanzate, su elevate competenze digitali, professionali e manageriali, su nuovi processi per l’erogazione delle prestazioni e delle cure e su un più efficace collegamento fra la ricerca, l’analisi dei dati, le cure e la loro programmazione a livello di sistema”.
La “missione” Pnr si articola in due componenti, si legge nel documento, ovvero puntare su reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale, attraverso il potenziamento e la creazione di strutture e presidi intermedi, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari. La seconda componente è l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale, con il completamento e la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico.
La “riforma 1” di cui parla il Pnr, relativa alle reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e rete nazionale della salute, ambiente e clima, parla di una “nuova strategia sanitaria, sostenuta dalla definizione di un adeguato assetto istituzionale e organizzativo, che consenta al Paese di conseguire standard qualitativi di cura adeguati, attraverso la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e l’identificazione delle strutture a essa deputate da adottarsi entro il 2021 con l’approvazione di uno specifico decreto ministeriale e la definizione, entro la metà del 2022, a seguito della presentazione di un disegno di legge alle Camere, di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con l’approccio “One-Health”.
L’investimento in questa direzione parla di “casa come primo luogo di cura e telemedicina”, per rispondere efficacemente alle tendenze evidenziate nel paragrafo precedente e “in linea con le raccomandazioni della Commissione Europea del 2019, il potenziamento dei servizi domiciliari è un obiettivo fondamentale”. L’investimento mira, sempre dal documento, “ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee)”, intervento destinato in particolare “ai pazienti di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti”, identificando “un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione)”. Il Pnr ambisce a realizzare presso ogni Azienda Sanitaria Locale (ASL) un sistema informativo “in grado di rilevare dati clinici in tempo reale”.
Per raggiungere il risultato, si pensa di attivare “602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza” e “utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche. Il fabbisogno di risorse per la realizzazione di questo investimento è stimato in 4,00 miliardi di euro, di cui 2,72 miliardi connessi ai costi derivanti dal servire un numero crescente di pazienti, 0,28 miliardi per l’istituzione delle COT e 1 miliardo per la telemedicina. Infatti, solo attraverso l’integrazione dell’assistenza sanitaria domiciliare con interventi di tipo sociale si potrà realmente raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione, riducendo il rischio di ricoveri inappropriati”.
I servizi di telemedicina, spiega il Pnr, “contribuendo ad affrontare le principali sfide dei Sistemi Sanitari Nazionali, rappresentano un formidabile mezzo per contribuire a ridurre gli attuali divari geografici e territoriali in termini sanitari grazie all’armonizzazione degli standard di cura garantiti dalla tecnologia, garantire una migliore “esperienza di cura” per gli assistiti e migliorare i livelli di efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la promozione dell’assistenza domiciliare e di protocolli di monitoraggio da remoto”. L’intervento che si prevede, si tradurrà quindi nel finanziamento di progetti di telemedicina proposti dalle Regioni sulla base delle priorità e delle linee guida definite dal Ministero della Salute.
Quali saranno quindi le funzionalità relative alla telemedicina? “I progetti potranno riguardare ogni ambito clinico e promuovere un’ampia gamma di funzionalità lungo l’intero percorso di prevenzione e cura, tele-assistenza, tele-consulto, tele-monitoraggio e tele-refertazione”. I progetti che saranno privilegiati saranno quelli che “insistono su più Regioni, fanno leva su esperienze di successo esistenti, e ambiscono a costruire vere e proprie ‘piattaforme di telemedicina’ facilmente scalabili.
Il Pnr ovviamente include progetti di “Case Comunità” e l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, così come “lo sviluppo di strumenti di analisi avanzata per studiare fenomeni complessi e scenari predittivi al fine di migliorare la capacità di programmare i servizi sanitari e rilevare malattie emergenti”, e la “creazione di una piattaforma nazionale dove domanda ed offerta di servizi di telemedicina forniti da soggetti accreditati possa incontrarsi”.
La nostra opinione
Un progetto valido, innovativo e degno di un paese che desidera imparare da ciò che non ha funzionato. L’ispirazione però, da dove sarà arrivata? Solo dalla riflessione a posteriori di specialisti governativi, o anche da un’impressionante mole di documentazione inviata da qualcun altro?
La disparità di erogazione di servizi sanitari sul territorio e la scarsa risposta denotata dal Pnr, sono state evidenziate ad aprile 2020 da chi poi ha fondato il gruppo terapie domiciliari, con tanto di Pec, inviata dall’avvocato Erich Grimaldi, presidente del Comitato Cura Domiciliare Precoce. Perché bisogna ricordare che proprio dalla disparità dell’erogazione di servizi sanitari nelle varie regioni è partito il lavoro dell’avvocato Erich Grimaldi.
Per raggiungere il risultato “cure domiciliari”, il Pnr parla dell’attivazione di “Centrali Operative Territoriali” e di “utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti”, quindi i medici che hanno curato in telemedicina, coordinati da una rete di professionisti sanitari, confrontandosi con gli specialisti volontari, sono stati pionieri in questo senso? Evidentemente si.
I servizi di telemedicina, spiega il Pnr, “contribuendo ad affrontare le principali sfide dei Sistemi Sanitari Nazionali, rappresentano un formidabile mezzo per contribuire a ridurre gli attuali divari geografici e territoriali in termini sanitari grazie all’armonizzazione degli standard di cura garantiti dalla tecnologia, garantire una migliore “esperienza di cura” per gli assistiti e migliorare i livelli di efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la promozione dell’assistenza domiciliare e di protocolli di monitoraggio da remoto”.
Quindi il medico che ha curato in telemedicina a distanza, ha superato il divario e non ha affatto lavorato “male” come qualcuno vorrebbe far credere? Direi proprio di sì, altrimenti questo Pnr avrebbe trattato di tutt’altro argomento.