Uccide figlio per punire moglie, autorizzato a vederlo da Gip

Sono due le denunce per maltrattamenti presentate contro Davide Paitoni, il 40 enne che il 1 gennaio ha ucciso il figlio di 7 anni a Morazzone (Varese), dalla moglie a sua volta aggredita a colpi di coltello dopo il l’omicidio del loro bambino, a Gazzada Schianno (Varese), dove la donna si era trasferita, a casa dei suoi genitori. Gli stessi genitori della donna lo avevano segnalato, tanto che in Procura a Varese sarebbe stato attivato il “codice rosso”. All’uomo, ai domiciliari per aver accoltellato un collega di lavoro il 26 novembre scorso e accusato di tentato omicidio, era stato però concesso di vedere suo figlio. A decretarlo è stato il Gip di Varese che ha convalidato la misura cautelare dei domiciliari, come richiesto dal pm. Lo ha confermato all’Ansa il Presidente del Tribunale di Varese Cesare Tacconi. “L’ordinanza per i domiciliari è stata firmata il 29 novembre, avvallando la misura richiesta dal magistrato”, ha spiegato Tacconi, “che l’ha motivata con il pericolo di inquinamento probatorio, non con la pericolosità sociale, e il giudice non può aggravare la richiesta del pm”. Successivamente, prosegue il presidente del Tribunale, “l’avvocato difensore dell’indagato ha chiesto che gli fosse concesso di vedere il figlio e la moglie, dato che secondo ordinanza non avrebbe potuto avere contatti se non con i familiari conviventi, quindi il padre”. Il 6 dicembre “il Gip ha autorizzato l’uomo a vedere il figlio”. Relativamente le denunce della donna e il codice rosso, Tacconi ha precisato “non vi sia in Tribunale alcuna pendenza a carico dell’uomo, quindi se le denunce ci sono sono ancora in Procura”. Poi ha concluso: “ho svolto tutti gli accertamenti del caso, tra i due non vi era alcuna separazione formale in corso, se mi sarà richiesto formalmente presenterò una relazione”.

Nel biglietto lasciato sul corpicino del piccolo Daniele, trafitto da una coltellata mortale al collo e poi chiuso in un armadio, il killer ha chiesto perdono a suo padre per quanto ha fatto e destinato parole di rabbia e livore contro la ex moglie, segno della sua volontà di punirla per aver deciso di lasciarlo.

La nostra opinione

E’ ormai chiaro cosa sia accaduto nei corridoi della Giustizia varesina, e come sia stato possibile che un uomo accusato di tentato omicidio potesse avere l’autorizzazione di stare con suo figlio. E’ tutto cristallizzato nei verbali, tra decisioni prese e normative procedurali che inchiodano quelle stesse decisioni a una sedia. 

Ora resta da capire perchè sia accaduto e, al di là delle singole responsabilità, è divenuto quantomeno imprescindibile che la politica si occupi di Giustizia nella misura in cui a un violento corrispondano custodie in carcere e che in presenza di denunce di maltrattamento allo stesso modo vengano inibite le frequentazioni tra potenziali autori e potenziali vittime. 

Il Presidente del Tribunale, nella nostra conversazione telefonica, ha reso chiaro quanto sia stato svolto dal suo ufficio, nulla pare essere stato lasciato al caso.

Il garantismo qui andrebbe applicato in un altro senso, ovvero nel garantire a minori e soggetti fragili di non rischiare in alcun modo di divenire prede o bersagli di azioni violente, e qualora un giudice non sia daccordo con la misura cautelare chiesta da un magistrato, dovrebbe avere il potere di aggravarla. Oggi invece non accade. E’ ora di finirla.

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