Quel radicato senso di “supremazia” sulla vita altrui, storia di un tentato omicidio a 15 anni

“Purtroppo questi ragazzi ormai non sono più abituati a pensare, agiscono, credono di vivere in una canzone, in un film o in un reality e perdono il contatto con la realtà. Una ragazzina contesa, che è un essere umano non un oggetto, dove emulando una visione distorta, quella di un mondo adulto autocentrato, io mi sento offeso e colpisco, senza rendermi conto di avere davanti una persona e non un ostacolo da buttare sotto un treno.

Ho scelto le parole del Procuratore per i Minorenni Ciro Cascone, intervistato questa mattina per l’ANSA (per cui lavoro), perchè racchiudono l’essenza di quanto accaduto in Lombardia solo ieri pomeriggio, dove un ragazzino di appena quindici anni ha rischiato di morire schiacciato da un treno, dopo essere stato spinto da un suo coetaneo, arrabbiato per lo “sgarro” di un sms inviato alla ragazzina che gli piace. Un caso emblematico che racconta il disagio di una generazione che dei social media ha fatto un “palcoscenico” (come li ha definiti il Procuratore) dove postare ed emulare, che nelle canzoni di autori più o meno improvvisati, arrabbiati con la vita che tentano di cantare con una pistola (finta si spera) in mano, che parlano di donne oggetto, delle infrazioni alla legge, come il riscatto di chi non ha avuto niente dalla vita. Ieri a Seregno, in provincia di Monza, è andata “bene”. Il quindicenne aggredito, non si sa per quale miracolo del destino, spinto su un convoglio in transito ha sbattuto la testa, è stato risucchiato sui binari, ma non è finito sulle rotaie, cavandosela con una grossa ferita alla testa e una caviglia rotta, ma poteva andare diversamente. Tante, troppe volte, finisce in altro modo. Una “spedizione punitiva”, la hanno definita giustamente gli investigatori, organizzata da un 14 enne e da un 15 enne, che ora dovranno rispondere dell’accusa di tentato omicidio in concorso, organizzata per farla pagare al rivale in amore… Chissà se poi quella ragazzina sapeva di essere contesa tra due giovanissimi, se sapeva di essere divenuta il pretesto, per uno di loro, per mettere alla prova le proprie capacità da medioevo in un duello, frutto di una ignoranza e di una totale disconoscenza dei valori di regola, rispetto della persona, bene, male e limiti.

Che società siamo?

Al di là della vicenda processuale, per la quale la macchina è già partita, dobbiamo chiederci cosa stiamo facendo per educare i nostri figli, alunni, genitori, insegnanti, rispetto a questa problematica. Ce lo chiedono i magistrati, i carabinieri, i poliziotti, ma soprattutto le vittime. Noi ce lo chiediamo abbastanza? Come società, come persone, quando commentiamo una foto sul web, quando i nostri figli adolescenti si scambiano video con le “donnine” chiamandole con i peggiori appellativi, ridiamo o gli spieghiamo che le donne non sono un oggetto, una proprietà, che non sono due o più uomini a dover decidere con chi debba stare, perchè questo fa la differenza. “Eddai, è normale, lo abbiamo fatto tutti”, i commenti che girano tra uomini adulti, quando arriva il messaggino di natale dell’amico con la donnina Babbo Natale biotta, che mima le diverse sfaccettature del sesso. Se però questo tipo di riferimento arriva nelle mani di un tredicenne, senza che alle spalle vi sia una solida educazione, una presenza familiare, ecco che scatta la normale concezione della donna come un oggetto deputato a soddisfare quel tipo di esigenze, nel suo immaginario. O, nell’altro senso, di quella che è una brava ragazza e va rispettata solo se non le fa, una per cui lottare, da proteggere, da tenersi con la forza quando un altro contendente si presenta sulla strada. E ci stupiamo del numero di femminicidi…. Veramente? 

E’ ora di prenderci tutti le nostre responsabilità, se siamo genitori e non riusciamo a gestire i nostri figli, per mille motivi, dobbiamo chiedere aiuto, se assistiamo a comportamenti deviati, sbagliati, di genitori sui figli, di giovani figli di altri, non dobbiamo girare la faccia dall’altra parte, e dobbiamo pretendere che lo Stato faccia la sua parte, ovvero fornire supporto, intervenire e garantire che quell’intervento sia efficace.

Non sappiamo guardarci allo specchio e ci voltiamo dall’altra parte

Oggi invece siamo lontani da tutto questo, perchè abbiamo paura di chiedere aiuto perchè a volte significa vedersi portare via i figli, in nome di un sistema che si basa troppo sulla percezione dei singoli operatori, ci facciamo gli affari nostri perchè “non vogliamo problemi”, ma poi ci arrabbiamo se i reati restano impuniti, e non ci guardiamo sufficientemente allo specchio. I nostri figli non sono perfetti, noi non lo siamo, e dobbiamo imparare ad ammetterlo e farci i conti, qualunque sia il risultato. Se nostro figlio spara alla professoressa in classe, non è colpa dell’insegnante che non è abbastanza “empatica” che non ha presa sul nostro pargolo “ribelle”, ma nostra responsabilità (probabilmente), perchè non siamo riusciti ad insegnargli il senso del limite, il rispetto dei ruoli, dell’adulto, banalmente a partire da quel “lei” che nessuno più sa cosa sia (oltre ad avergli comprato una pistola a pallini). Se nostro figlio si ritrova indagato per aver fatto sesso con una ragazza ubriaca insieme agli amici, a prescindere che si sia trattato di un rapporto consenziente o meno, abbiamo cresciuto un insicuro che ha difficoltà relazionali (per essere magnanima) o un criminale, in entrambe i casi una persona che non ha rispetto per il prossimo, perchè una ragazza ubriaca si riaccompagna a casa. Se i nostri figli sono arrabbiati, credono che gli manchi qualcosa perchè non hanno una felpa di marca, il ragazzo o la ragazza che credono sia loro per diritto, il successo a 20 anni, è perchè non siamo stati in grado di insegnare loro quali sono le vere cose importanti della vita e il valore della pazienza, dell’impegno e anche della fatica.

Qualcuno per cambiare le cose da qualche parte deve cominciare, sarebbe bene lo facessimo tutti. 

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