Julia Ituma e i racconti di vita che non si fermano

Un corridoio, una ragazza che si abbraccia da sola le gambe, e poi la tragedia, inspiegabile. C’è più silenzio che parole nel racconto della morte di Julia Ituma, la 18 enne pallavolista azzurra della Igor Gorgonzola di Novara, morta dopo essere caduta dalla finestra di un hotel a Istanbul mercoledì, dopo un match di Champions League. La Polizia turca sta indagando su una telefonata ricevuta o fatta dalla ragazza prima del salto, volontario o accidentale é ancora da accettare, e del suo peso.

Lei però non c’è più. Una “promessa della pallavolo”, una ragazza diligente, impegnata, ben educata, “come faceva ad essere depressa dai“, uno dei commenti che ho ascoltato mentre andavo in aeroporto per lavoro, ad attendere il rientro delle sue compagne di squadra. “Una non gioca una partita così, vince e poi si butta“, un altro commento. Cosa sappiamo noi, davvero, della mente umana? Come possiamo dare un giudizio, indagare su una vita, una persona, il suo sentire, basandoci su quattro dati sulle sue ultime ore di vita?

Semplice, non possiamo e non dovremmo neppure farlo. Questo é uno di quei casi in cui anche la cronaca dovrebbe fermarsi ai dati oggettivi, senza allusioni, ipotesi, ragionamenti, che non potranno mai restituire la realtà dell’intimo di una persona, mai. Glielo si deve, come professionisti, come persone, quel rispetto del dolore che troppe poche volte fa fermare le dita sulla tastiera, invece di farle volare di fantasia.

Si può essere estremamente “forti” sul campo sportivo e soffrire enormemente in quello della vita, si può avere sorrisi smaglianti per tutti e sentirsi morire dentro, si può esserci con coraggio per il prossimo e tremare di paura per sé stessi.

Nessuno dovrebbe pensare di poter spiegare un’anima, a meno che non sia stata questa a parlare direttamente.

Ciao Julia.

 

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