Giovani, studio e lavoro, le colpe delle generazioni precedenti

“Una volta” e “ai miei tempi“, iniziano sempre discorsi rivolti ai giovani, o meglio, che parlano (male) dei giovani, pronunciati dalle generazioni precedenti. Li ricordo questi “sermoni”, da ragazzina, e la reazione era uno sconsolato sguardo rivolto al cielo, spallucce e sospiri di insofferenza. Crescendo è salita la pressione, i continui interrogativi sul perché non riuscissi “a farcela” come credevo tutti si aspettassero da me. Oggi ho la consapevolezza che quella stessa pressione viene vissuta dai ragazzi forse anche prima di quando capitò alla mia generazione, a cavallo tra X e millennials. Di chi è la colpa? Di quelle precendenti, non dei ragazzi. Da un lato viene richiesto impegno, un certo titolo, ma dall’altro non ci sono le condizioni poi, perché quel titolo significhi per tutti realizzazione. Ti insegnano che la competizione è forte, spossante e che quindi devi impegnarti di più, altrimenti quei pochi “posti fortunati” saranno occupati da altri, e tu non “ce la farai”. Quando poi qualcuno di quei pochi posti lo prendi, ti accorgi che non era come ti saresti aspettato. Ancora pressione, pretese, e poco, pochissimo compenso rispetto a ciò che sei chiamato a fare. Le generazioni precedenti hanno inquinato il mondo del lavoro, lo hanno sporcato di furberie, sfruttamento, invidia, disprezzo per il più bravo, per quello che non si conforma per forza, ed esaltazione del più scaltro, con meno scrupoli, meno empatico. Hanno distrutto il concetto di leadership, che è totalmente diverso da quello di “boss“. Certo, le eccezioni ci sono, ma sono rare. Io stessa, ancora oggi, sono arrabbiata per il futuro che non ho avuto e per ciò che non ho ricevuto e che mi sarebbe spettato, ma ho capito che non è stata colpa mia. E non è solamente il mondo del lavoro il problema, ma anche la scuola e la famiglia.  Ci sono quei genitori che cercando di aiutare i loro figli spianando loro ogni difficoltà, facendo muro per loro, coccolandoli e dando loro sempre ragione, facendoli crescere convinti che tutto andrà bene, perché loro sono “speciali”. Credono di aiutarli, ma non è così. Hanno proiettato su di loro le frustrazioni che tutti abbiamo vissuto, e così facendo li hanno resi e renderanno ancora più deboli, impreparati ad affrontare ciò che c’è fuori, oltre che renderli irresponsabili e irrispettosi e arroganti oltre ogni limite accettabile.  Entrano a scuola, armati di mani violente o avvocati, e pretendono di dettare regole su ciò che deve essere il rendimento dei figli. Ma non è colpa loro, dei ragazzi, ma di genitori che hanno perso il senso del loro ruolo e di un sistema che permette loro di sentirsi più “forti”, rispetto a coloro a cui una volta il rispetto iniziava dal “lei“, ma che poi qualcuno ha deciso fosse sbagliato, trasformandolo in uno sbagliatissimociao“, pensando che ci volesse questo questo per avvicinarsi ai ragazzi.

Oggi quel “ciao” sono porte sbattute in faccia, risate durante la spiegazione di geografia, pistole a pallini, rispostacce sul treno, piedi sui sedili, mancati “grazie” e “prego”, che si portano dietro la convinzione che chi è stato prima non debba avere rispetto e abbia nulla da insegnare o dire, che non possa essere “googlato*”.

Viziare e pretendere sono diventate le due facce della stessa medaglia che non regala alcun podio, perché gli scalini fatti per arrivarci, sacrificio, impegno, sostegno e speranza, sono stati sostituiti da genitori che credono di poterci fare arrivare i figli portandoli in braccio, spazzando via i loro “nemici” a pugni, e un mondo del lavoro fatto di chi promette quel podio, ma poi aggiunge sempre più gradini da scalare, fa sgambetti, in modo da renderlo sempre più distante e praticamente impossibile da raggiungere. Un podio che, forse, dovremmo tutti smettere di cercare a tutti così, per concentrarci su ciò che significa allenarsi per un gara che non permette alle nuove generazioni di vincere, fin quando ci saranno le regole dettate dalle precedenti che non hanno intenzione di cedere il passo.

Il mondo del lavoro deve cambiare, la scuola deve cambiare e tornare da un lato un luogo precluso alle ingerenze dei genitori, dall’altro formato da docenti motivati, preparati, inseriti nella società dove esercitano, la professionalità deve mutare al servizio delle persone e della collettività, con stipendi degni di questo nome e garanzie giuste, che spazzino via i furbi e i fannulloni e facciano crescere i volenterosi e i talentuosi, senza che questo significhi pretendere in cambio la loro anima o la loro intera vita. Impossibile? No. Forse però, invece di crescere figli arrabbiati o ideologizzati, bisognerebbe semplicemente insegnare loro lo spirito di squadra e non l’individualismo, i valori di giustizia e merito senza scorciatoie, di collaborazione e crescita e pretendere che la politica dia loro il modo e il tempo di creare posti di lavoro, di inventarsi un mestiere, di sentirsi sicuri di poter osare consapevoli dei rischi ma anche con la certezza di poter riuscire.

Siamo noi, oggi, a dover loro dare una mano per ottenere un futuro diverso dal nostro. 

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