Topicida nel sangue di Giulia Tramontano, uccisa da uno dei tanti, troppi, non uomini

Sorrisi e bugie al veleno, precisamente veleno per topi, da mesi, in bevande che Giulia Tramontano, la 29 enne incinta uccisa a Senago dal fidanzato a maggio, assumeva ignara di convivere con il suo futuro assassino. È quanto emerso dal proseguo delle indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano, e da quanto emerso dal risultato dell’autopsia sul corpo della vittima, acquisito nelle scorse ore dalla Procura di Milano.

GLI ESAMI E IL VELENO

“Presenza di veleno per topi sia nel feto che nel sangue della donna, con un incremento della somministrazione nell’ultimo mese e mezzo”. Questo l’esito degli approfonditi esami svolti dai consulenti medico legali della Procura, sul corpo della giovane donna incinta al settimo mese, trucidata il 27 maggio scorso con 37 coltellate dal compagno (e “padre” del bimbo che Giulia aspettava) Alessandro Impagnatiello, ora in carcere. Secondo il referto quindi, prima dell’aggressione mortale nella loro abitazione, prima di trascinare il corpo della 29enne in un’intercapedine tra alcuni garage a qualche centinaio di metri di distanza, dopo aver tentato di bruciarlo, Impagnatiello avrebbe tentato di uccidere lentamente la donna che aveva affermato di amare e il figlio che portava in grembo.

LE RICERCHE ONLINE E L’IPOTESI PREMEDITAZIONE

L’esito dell’esame autoptico è arrivato a corredo di altri accertamenti degli inquirenti, tra cui un meticoloso esame dei dispositivi elettronici del killer. Tra le sue ricerche in rete era già emersa quella di “come avvelenare un feto” e “come uccidere donna incinta con veleno”, iniziate proprio poco dopo la scoperta della gravidanza. È il dato sconcertante che cristallizza ancora di più la posizione di Impagnatiello e non lascerebbe dubbi circa la sua volontà di liberarsi di compagna e futuro figlio.

LA DONNA “OGGETTO” E IL “PROBLEMA DA ELIMINARE”

Settantacinque vittime di femminicidio, settantacinque donne uccise dall’inizio dell’anno, per mano di un uomo e perché donne. Una strage di genere che qualcuno ancora nega o non capisce, ma che pure resta una piaga sociale, umana e culturale. Anche in quello che sembra un contenitore ben definito, vi sono diverse sfumature. Accomunati dal considerare la vita di una donna una “proprietà” di cui disporre, i killer di donne agiscono spinti da diversi moventi (non motivi, perché le parole hanno un peso), che non hanno mai nulla a che fare con l’amore. A dircelo è la cronaca ma, soprattutto, la psicologia. Ci sono uomini che uccidono perché incapaci di accettare un rifiuto, la fine di una relazione (non “l’abbandono”, perché nessuno abbandona nessuno quando una relazione finisce), uomini che uccidono per l’incapacità di accettare una donna come essere indipendente, capace di compiere scelte autonome, lavorare e avere una vita sociale e anche di compiere errori (non per “gelosia” come spesso leggiamo), uomini che uccidono per la volontà di non voler rispettare una relazione, aspettandosi che una donna lo accetti senza chiudere il rapporto, perché “femmina”. Nel caso di Impagnatiello, ricordando che siamo ancora in fase preliminare, lui avrebbe ucciso per “liberarsi di un problema”, un possibile mix tra l’ultimo movente e la non volontà di farsi carico delle proprie scelte e responsabilità.
Impariamo a chiamare le cose con il loro nome.
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