Quando l’ironia diventa (triste) realtà

Di questi giorni l’uscita, ampliamente pubblicizzata, del film sequel “Come un gatto in tangenziale”, con i bravissimi Albanese e Cortellesi.

Il periodo natalizio e la natura comica degli attori, oltre che lo stesso titolo, farebbe pensare al classico “cine-panettone” dei Vanzina, di cui tutto sommato si sente anche la mancanza.

In realtà il film nasconde delle “verità” che inducono a riflettere, e non poco, sulle sorti del nostro paese, soprattutto su quanto la scia della “cultura imposta” condizioni il pensiero di tutti noi.

Il contenuto del film è uno schiaffo violento al perbenismo dei salottieri lontani anni luce dai problemi reali della gente, un pugno nello stomaco alla filosofia dilagante che vorrebbe realizzare progetti faraonici pseudo culturali, fregandosene delle periferie, dei quartieri dormitorio, dove davvero si respira povertà e la gente fatica ad arrivare alla fine della giornata.

È un calcio nel sedere alla ipocrita ed ormai fallita cultura dell’accoglienza di tutti ed a tutti i costi, che ha portato solamente a dover ghettizzare migliaia di disperati e bisognosi arrivati nel nostro paese convinti di trovare “l’America”, dove invece si ritrovano circondati solamente da disorganizzata miseria e disinteresse.

Il film racconta della periferia romana, ma poteva essere benissimo essere girato in quella milanese, nel quartiere Barriera di Torino, allo zen di Palermo, a Scampia. E ancora, nei campi di pomodoro foggiani o nelle aziende cinesi di Prato. Tutte sacche di povertà create dall’illusione di un agio inesistente, mascherato da finta volontà di redenzione ed accoglienza.

Questo film mi ha fatto venire in mente anche la vicenda di Riace, dove le persone si sono arricchite sulle spalle di questi poveri emarginati, indossando la maschera del buon samaritano.

È certo che la cultura può essere e deve essere uno degli strumenti per uscire da questa melma. Ma non certo la cultura di facciata, quella dei balletti alla “Scala”, dove i potenti si autoproclamano.

Se di cultura dobbiamo parlare, cominciamo dalle scuole di periferia, dalla cultura della legalità, della vera integrazione tra i diversi e meno fortunati, le opere di beneficenza silenziose senza riflettori, i progetti di sviluppo reali, concreti, pratici. Non fumo negli occhi per la stampa orientata che racconta di false favole progressiste.

Per il più attento degli osservatori di questo film, sottolineo uno scambio di battute tra i due protagonisti: mentre il politico progressista sta scegliendo come spendere i soldi degli sponsor del sito culturale gentilmente concesso alla scassata periferia romana, il “prete di periferia” distribuisce generi alimentari agli abitanti abusivi delle case popolari. Lo sguardo severo della Cortellesi riprende Albanese (il politico) e gli dice a brutto muso: <<sai perché ti fa incazzare, perché questo prete  è più comunista di te>>.

Fa riflettere quanto il nostro nuovo mondo, la realtà in cui siamo costretti a vivere fatta di tanta e crescente miseria, abbia stravolto gli equilibri che fino a 50 anni fa regolavano il nostro paese. Preti diventati i “veri” comunisti – per il bene del popolo –  e quelli “finti” diventati salottieri radical chic ben attenti al profitto, agli sponsor ed alle cooperative.

Questo è un vero passaggio culturale che negli anni porterà a cambiamenti radicali. I partiti non saranno più il riferimento della gente. Saranno sostituiti dai movimenti del popolo, dei cittadini che si avvicineranno a chi davvero riuscirà a risolvere i problemi quotidiani, reali. Tra i grandi sconfitti di questi giorni c’è proprio la politica, incapace di rispondere alle esigenze vere dei suoi cittadini perché troppo impegnata, da uno schieramento all’altro, senza distinzioni, a soddisfare i propri interessi, spesso solo economici, o a rincorrere ideologie ormai fallite da tempo.

Questo è il motivo per cui da dieci anni non abbiamo un Governo che rappresenta la maggioranza del paese, spiega perchè  abbiamo avuto un partito che ha preso il 20 % dei voti attraverso la promessa del reddito di cittadinanza, per cui per salvarci è dovuto arrivare un ragioniere delle banche, certamente bravo si, ma che non sappiamo chi effettivamente rappresenti.

Questo succede quando l’ironia diventa una triste realtà. Come un gatto in tangenziale.

Alias Giulio Cesare

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