Questo è un editoriale (lungo) che non piacerà a molti, che mi attirerà critiche, certamente insulti da più parti, perché oramai la nostra realtà sociale è diventato questo, “parti” che si scontrano nella disperata necessità di dimostrare una verità indimostrabile, nel voler mantenere le cose come “sono sempre state” da un lato, e nella ricerca di una “lotta per l’essere tutti uguali” che non è di questo mondo, soprattutto se quel tutti uguali significa “che la pensano come diciamo noi” di una certa parte. Siamo tutti diversi, con eguali diritti ma tutti assolutamente diversi. Oggi, sotto la bandiera dell’inclusività, del voler togliere le barriere, stiamo arrivando a una privazione di libertà al contrario, perché non si può più avere un’opinione, non si può più parlare (non in senso letterale, evidentemente) senza sentirsi insultare o categorizzare da chi non vuole le categorie e poi però ne ricrea di nuove.
Il caso Roald Dalh
Partiamo dai libri di Roald Dalh, autore per bambini da 250 milioni di copie vendute al mondo, tra cui ‘Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato’, ‘Le streghe’, di cui molti conosceranno le celebri trasposizioni cinematografiche. Notizia di questi giorni che la casa editrice britannica Puffin abbia deciso di ripubblicare i libri dell’autore modificando alcuni termini utilizzati dall’autore, come “grasso” o “brutto”, per eliminare quelle espressioni che potrebbero urtare la sensibilità dei giovani lettori, o risultare discriminatori. Censura, di fatto. Nel nostro tempo, finalmente, abbiamo imparato (non tutti) che il bodyshaming e la paura del diverso, il ridicolizzare, deridere qualcuno perché non lo percepiamo “come noi”, perché ha la pelle di un colore diverso, è profondamente sbagliato e senza alcuna giustificazione. Il concetto di bello e brutto, di grasso e magro, però, fanno parte della nostra realtà e non sono le parole a dover essere discriminate, piuttosto il loro utilizzo che deve essere educato e rispettoso, sempre. Di questo passo, altrimenti, finiremo con il rimanere muti e sorridere come pesci. Facciamo un esempio pratico: pensate a cosa provocano queste due frasi nella vostra mente, immaginando di leggerle in un romanzo. “Lei giunse con portamento regale, fasciata di seta, con la sua bellissima e delicata pelle bianca…”, oppure, “Lei giunse, con portamento regale, fasciata di seta, con la sua meravigliosa pelle color ebano”. La seconda (mi auguro), ci appare come una descrizione normale, di una donna avvenente e di colore, mentre la prima (temo), potrebbe far sorgere diversi interrogativi, tipo, “come mai sottolinea la pelle bianca? È elegante perché è bianca? Un richiamo alla nobiltà, perché la pelle bianca era sinonimo di regalità…”. Ormai siamo arrivati a questo. Accade ogni qualvolta scriviamo articoli di cronaca, commenti aspri, adirati “perché sottolineare la nazionalità?”, quando a compiere un crimine sono persone di un’altra etnia o di origine straniera. Signori, signore, signor*, fatevene una ragione, si chiama CRONACA, la nazionalità la scriviamo sempre, solo che ci fate caso solo quando vi fa comodo.
La censura nei libri, l’inizio della fine
Ora, ha davvero senso censurare libri scritti 30, 50, 80 anni fa? Ha senso togliere ai bambini la possibilità di imparare a contestualizzare un racconto, un accadimento, un personaggio? Per quanto mi riguarda assolutamente no. Oggi Gramellini, con il quale non mi trovo spesso d’accordo, ha pubblicato un pezzo magistrale, su come dovrebbero essere censurate le canzoni di Gianni Morandi, come ‘Fatti mandare dalla mamma’, per i contenuti violenti, sessisti che, volendo, ci si potrebbero leggere. Mi domando però, se chi al grido della discriminazione, del politically correct che diventa censura, abbia mai ascoltato delle canzoni trap dei giorni nostri, dove si inneggiano alle peggiori nefandezze… Non credo.
Il punto è semplice, quando una battaglia di principio, di valore, una buona battaglia, diventa ideologia e quindi battaglia politica, perde il suo significato, si veste di slogan (spesso con pochi contenuti reali) e diventa divisiva. Siamo tutti diversi, a questo mondo, belli, brutti, intelligenti, meno talentuosi, normodotati, diversamente abili, bianchi, neri, gialli, mulatti, misti, frullati, con una o due o tre patrie nel cuore. Prendiamo atto del fatto che la diversità e l’inclusione sono questo, accettare le diversità altrui rispettandole, anche quando non le capiamo e questo vale per tutti.
(Un LINK utile per chi volesse acquistare una raccolta di Dalh ante censura)
La diversità: eterosessuali vs fluidi, dove sta l’inclusione?
Altro esempio. L’essere fluidi, concetto elaborato nel 2008 da Lisa Diamond, psicologa e docente americana, secondo la sua definizione significa essere “flessibili nella risposta sessuale, dipendentemente dalla situazione, consentendo alle persone di sperimentare i cambiamenti nella propria sessualità, quindi propendere verso il proprio sesso di identificazione o l’opposto, sia nel breve che nel lungo termine”. Un livello 2.0, rispetto a me, che non capisco perché probabilmente attinge a una sensibilità diversa, a un periodo storico diverso dal mio, o anche a un cambiamento intrinseco, fisiologico e psicologico dell’essere umano, ma che rispetto. Lo rispetto nella misura in cui non significhi mettere in discussione l’esistenza di donne e uomini che si rispecchiano nel loro sesso biologico, eterosessuali e non per questo sbagliati. Mi va benissimo l’asterisco, se questo conviva serenamente con il genere maschile e femminile, concordo sul bagno no gender, se questo però non significa cancellare i bagni per donne e uomini, va bene genitore 1 o 2 se io posso continuare a scrivere mamma e papà e qualcun altro mamma e mamma o papà e papà. Questa si chiama inclusione, altrimenti si chiama “cancel culture”.
La diversità è meravigliosa, la normalità non esiste, se però persiste una libertà di pensiero, di opinione, che non viene devastata dalle ideologie politiche. Sto ancora aspettando qualcuno che si faccia bandiera di questa di battaglia, nell’attesa attendo insulti e accuse di vario genere, ma viva la libertà eh…
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